IL MITO FAMILIARE

Oggi vi propongo un articolo scritto da una collega, la Dott.ssa Annarita Arso, scrittrice di Psiche, Nessuno e Centomila, un blog davvero interessante dove trovare numerosi spunti di riflessione. Appena l’ho letto ho capito che dovevo assolutamente farvi conoscere sia questa professionista che il suo pensiero. (Per visionare l’articolo originare, cliccare qui)

Quello del Mito Familiare è un argomento cardine nella psicologia della famiglia e sono molto contenta di potervene parlare attraverso le parole della Dott.ssa Arso. Vi sono dei riferimenti alla teoria dell’attaccamento ma, se avete letto gli articoli del blog, dovreste già sapere di cosa si tratta. Nel caso potete trovare delle informazioni qui.

Ma ‘bando alle ciance’ mi sto dilungando anche troppo. Vi lascio in ottime mani.

Buona lettura

Il Mito Familiare

Ogni famiglia custodisce nella propria casa il proprio mito familiare. C’è chi lo nasconde in soffitta nel baule dei vecchi giocattoli, tra marionette consenzienti e inanimate bambole di pezza; chi in cantina, accanto alla bottiglia di Barolo destinata alla prima grande occasione da festeggiare; chi tra le pieghe delle lenzuola profumate di bucato e chi dentro la libreria, dietro la copertina di quel libro che ci si ripromette di leggere da una vita. Perché il mito familiare racchiude in se non solo le leggende che vengono tramandate da generazione in generazione, ma anche la “legenda” per decifrarne il significato. Custodisce i tabù inconfessabili, i valori irrinunciabili e le promesse in attesa di essere onorate. Esso narra la propria storia e la consegna in eredità alle generazioni successive, dopo averla edulcorata con ciò che compiace il pubblico, arricchita con improbabili storielle e liberata da dettagli pesanti come macigni, relegati proprio per questo, sullo sfondo.
Come ogni casa ha bisogno di fondamenta che ne sorreggano la struttura, ogni famiglia necessita di una base mitologica che le dia un senso e che consenta a ciascun membro di essere riconosciuto dagli altri e di riconoscersi nell’immagine riflessa nello specchio. Il mito familiare diviene la colonna portante del senso d’identità di ciascuna famiglia e del senso di appartenenza di ciascun membro ad essa: rappresenta una sorta di lente attraverso la quale ogni famiglia guarda se stessa e la realtà circostante. Uno scrigno di credenze e leggende ereditate dalle generazioni passate. Un organigramma che assegna a ciascun membro un ruolo e un compito specifici. Una tavola pitagorica con una matrice nota e rassicurante.
Il mito svolge una funzione di coesione fra i membri; rappresenta una sorta di collante tra i componenti di un nucleo familiare, un patto implicito e condiviso tra loro, anche quando è fondato su “regole” e valori talvolta incomprensibili per chi non ne fa parte.

Miti familiari e Immagini di Ruolo

In “Le trame della famiglia”, il terapeuta familiare J. Byng-Hall individua in ogni storia familiare e nella mitologia sottostante quattro elementi costitutivi: gli aneddoti (storie raccontate per divertimento, con un eroismo spesso esagerato rispetto alla realtà); le leggende (storie pittoresche e inverosimili tramandate di generazione in generazione); le fiabe o storie di copertura (circostanze mai accadute); i segreti (fatti tramandati da un componente all’altro, dietro promessa di non farne parola con nessuno; di fatto divengono noti a gran parte della famiglia, ma attraverso la costituzione di coalizioni tra pochi membri). Lo stesso autore descrive poi tre gruppi di “immagini di ruolo”: ideali (i comportamenti ai quali ognuno aspira), ripudiate (quei comportamenti disapprovati o persino considerati proibiti) e consensuali (i comportamenti accettati e condivisi).

Miti familiari e Stili di Attaccamento

Il mito familiare, nell’andare a tracciare, come scrivono Andolfi e Angelo (rispettivamente terapeuta familiare e neuropsichiatra infantile) “la trama di quel libro di debiti e di crediti intra e intergenerazionali che stabiliscono la comparsa e l’evoluzione dei ruoli che le varie persone devo ricoprire, secondo tematiche di colpa, perfezione, ecc.”, non ha di per se un’accezione negativa (come invece molta letteratura sull’argomento lascia intendere). Rischia però di divenire terreno di scontro e pericoloso detonatore in specifiche configurazioni familiari e/o a seguito di particolari accadimenti nel ciclo vitale di una famiglia. Accade nelle famiglie con stile d’attaccamento insicuro/evitante (in cui domina una forte negazione difensiva e le immagini di ruolo sono buone o cattive; non vi sono sfumature intermedie e le persone divengono oggetto o di idealizzazione o di svalutazione) e in quelle con stile insicuro/ambivalente (in cui domina l’ambiguità affettiva e le immagini di ruolo consensuali sono in continuo cambiamento e non sono in grado di veicolare un’immagine costante di sé).

Una scomoda eredità

Nelle tipologie di famiglie appena descritte, le immagini di ruolo non si modificano nel tempo per adattarsi ai cambiamenti in modo coerente e realistico. Quanto più il mito è articolato e ricco, maggiori saranno infatti le possibilità di sviluppo; quanto più una componente tende a prevalere sulle altre invece, tanto più sarà complessa la sua elaborazione. Quando il mito non consente il cambiamento con l’integrazione di nuove informazioni e l’assegnazione di ruoli e funzioni è rigida e inflessibile, rischia di divenire un pesante fardello per qualcuno dei membri, perché non gli consente l’integrazione del mito personale con quello familiare. In alcuni casi, la mancata adesione ad esso da parte di uno dei membri viene inconsapevolmente inteso da parte di tutti gli altri, come un tentativo di attacco e di delegittimazione del mito familiare stesso in tutta la sua portata. Accade ad es. nelle famiglie meno differenziate, quelle invischianti, dominate dai giochi di proiezione delle aspettative genitoriali sui figli e dalle attese che essi esaudiscano i propri desideri inappagati o risanino antiche ferite.
Elaborare il mito per ciascun membro significa allora diventarne consapevole, accettarlo e prendere la giusta distanza da tutti quegli aspetti che minacciano la propria individualità e la propria autostima. Fare i conti con esso consente di esplicitare anche il mandato familiare ad esso correlato, con la sua fitta trama di aspettative. In caso contrario, il non espresso dei segreti familiari, il tono caricaturale degli aneddoti, i vuoti di informazione delle leggende, rischiano di tracciare un’invisibile trama su cui  ci si illude di costruire liberamente la propria vita. Almeno fino a quando l’irruzione del sintomo psicosomatico o ansioso, quando non francamente psicotico, non costringe a rivestire gli scomodi panni di paziente designato. Solo “rispolverandolo”, compito spesso arduo senza l’aiuto professionale da parte di un esperto, risulta possibile liberarsi dall’influenza che i condizionamenti ricevuti esercitano sui propri comportamenti e intraprendere la strada dell’individuazione personale, funzionale sia al proprio benessere psicologico, che alla qualità delle proprie relazioni affettive che, in caso contrario, rischierebbero di venire “fagocitate” in circoli viziosi disfunzionali. Ostinarsi ad ignorare i condizionamenti inconsapevolmente ricevuti, anche quando questi creano significativo disagio e rischiano di compromettere le attuali relazioni affettive, significa accontentarsi di vivere la propria vita nella soffitta polverosa del proprio passato familiare, confondendosi tra le marionette consenzienti, correndo il rischio di lasciare in eredità alle generazioni future il pesante onere di sgomberare uno spazio divenuto troppo stretto per potersi ancora illudere di essere libere di scegliere.

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